martedì 16 dicembre 2014

BookCrossing a tempo di tassametro

Giorni fa, rientrando da una breve visita a Roma, sono salita su un taxi e non ho potuto fare a meno di notare un particolare molto interessante per un lettore, di quelli che ti fanno venire i cuoricini negli occhi.
 
Attaccato proprio dietro al sedile dell'autista c'era l'avviso di una iniziativa che ho subito trovato attraente.
Nei taxi sono disponibili, infatti, dei libri che è possibile scambiare se ne portiamo anche noi, una sorta di book crossing viaggiante.
 
Ho sbirciato nella custodia del sedile trovando tre libri di vario genere ed ho rimpianto di non poter fare lo scambio. Il libro che avevo con me lo dovevo ancora finire.
 
La trovo una buona iniziativa perché è un modo per fare economia senza rinunciare alla lettura ed è anche un modo simpatico di affrontare una corsa in taxi. Se vogliamo proprio cogliere un altro lato positivo: sarebbe la prima volta che salite su un taxi e ne scendete con qualcosa in più.
 
Unico neo, almeno per me, ma so che siamo in tanti ad avere questo difetto, è il fatto che mi piace possedere i libri.
Anche nei casi in cui prendo in prestito un libro, da amici o in biblioteca, se mi piace lo devo poi acquistare e tenere nella mia libreria.
Capirete quindi, che per me è difficile separarmi da un libro e lasciarlo in balia di sconosciuti, senza sapere dove e come e in che mani andrà a finire.
 
Capita però che in mio possesso ci siano, per svariati motivi, più copie di alcuni libri e di questi potrei decidere che sia il caso di scambiarli con altri, il che mi sembra un'ottima idea.
 
Allora, cosa state aspettando, siete proprio sicuri di non aver bisogno di chiamare un taxi?
 

mercoledì 3 dicembre 2014

Madrid

A dieci anni di distanza ho avuto occasione di poter visitare la capitale spagnola e, come sempre quando ho modo di tornare nei luoghi già visitati, ne ho tratto dei nuovi spunti.

La prima volta ci andai con le amiche per l'ultimo dell'anno, nel 2004.
Una zingarata per sole donne passata tra cultura, discoteche e sangria.
Rimase in me l'idea di una città dal tono asburgico, seriosa e imponente, ma fu una bella vacanza e conservo ancora i ricordi  del museo del Prado, del palazzo reale e di una grandezza che solo le capitali posseggono.
 
Questa volta ci sono tornata a fine novembre e l'ho potuta gustare addobbata per le festività natalizie.


 
 
Addobbi lussuosi, brillanti e sfarzosi, con le strade stracolme di gente e piene di gioventù.  Sopratutto mi ha colpito la forte presenza femminile nei ristoranti e nei locali e ovviamente la grande varietà di quest'ultimi.
Traffico tanto ma ordinato, pulizia e ordine.
Le opere d'arte al loro posto, impassibili davanti allo scorrere del tempo e agli sguardi dei turisti.
 
Una città piena di energia che, nonostante la crisi, continua la sua corsa come è giusto che sia per una città  europea.
 
L'austerità che avevo percepito nel primo viaggio è stata sostituita ai miei occhi con l'allegria tipicamente spagnola che avevo sentito più forte nelle città dell'Andalusia.
In dieci anni è possibile che anche il mio occhio di viaggiatrice sia cambiato, ma voglio credere che sia invece, quello che ho percepito, un forte segnale ad andare avanti.
 
Questa volta ho avuto anche modo di visitare un altro importante monumento di Madrid: lo stadio Santiago Bernabèu.


Un esperienza che consiglio a tutti, tifosi di calcio o meno, perché è li, negli stadi, che si coglie il vero cuore di una città.

A tutto questo aggiungo che i compagni di viaggio erano ottimi e ne potrete dedurre che il voto che assegno a questa vacanza è ottimo.

In onore di questa bellissima città vi lascio con una bellissima cartolina, postata proprio per voi

martedì 25 novembre 2014

25 Novembre 2014

Oggi, 25 novembre 2014, è la giornata internazionale per l'eliminazione delle violenze contro le donne ed io, sia come donna che come essere umano, non posso non condividere il mio pensiero con voi.
 
 
Non parlerò di cifre, di percentuali o di cronaca nera,  mi limiterò ad esternare la mia semplice ed umile opinione, nel bene e nel male.
 
Quella della violenza sessista è un'abitudine che si abbatte sulle donne dalla notte dei tempi.
Avete letto bene l'ho definita "abitudine", cos'altro può essere quel modo subdolo di disprezzare la donna a tal punto di umiliarla e farle del male, sia fisico che psicologico, facendolo passare come qualcosa che ha inventato madre natura?
 
Abitudine che per fortuna non accomuna tutti gli uomini, ma fa si che la maggior parte di essi la giustifichi sotto sotto, pur non praticandola.
 
Ho sempre pensato, e ne rimango fermamente convinta, che ciò che gli uomini pensano, dicono o fanno nei confronti della donna sia colpa proprio della donna: quella che li ha fatti nascere ed educati.
Care donne, ammettiamolo, siamo noi che mettiamo al mondo gli uomini e trasmettiamo loro il rispetto per le cose e le persone.
Noi che insegnamo loro come comportarsi a tavola, a scuola e nel mondo del lavoro.
Noi che permettiamo ai nostri figli di usare termini come puttana,  inferiore,  succube, nello stesso lasso di tempo in cui insegnamo alle nostre figlie a subire, coltivare sogni fiabeschi, su un necessario quanto mai inesistente Principe Azzurro, a sentirsi in colpa per un apprezzamento volgare o per come possono essere più o meno giudicate in base al sesso.
 
Le cose non cambieranno mai finché ci saranno donne contro donne, sante contro puttane,  mogli contro amanti, pronte a farsi la guerra pur di conquistare un angolo cottura con le tendine rosa.
 
Se vogliamo fare veramente qualcosa, ben vengano le manifestazioni, le foto a tema sui profili, i fiocchini di tutti i colori, basta che poi, quando usciamo nel mondo, quello vero, riusciamo ad essere capaci di riconoscerci come donne, di tenderci la mano nonostante le differenze e l'uso che ciascuna fa della propria vita.
Partiamo dall'origine del problema, scaviamo dentro di noi alla ricerca di ciò che ci spinge a non aver rispetto prima di tutto per noi stesse e poi per le altre, a non riconoscerci come genere femminile plurale.
 
Quando ci crederemo davvero a questa fasulla libertà che abbiamo faticato ad ottenere, che non ci permette neanche di indossare una minigonna senza essere additate con qualche "stravagante" appellativo, quando insegneremo ai figli maschi il rispetto che si trasmette solo avendone per sé,  quando  smetteremo di credere che in fondo ce la siamo cercata, allora e solo allora potremo cambiare le cose e gli uomini di domani.
 
Nel frattempo, datemi retta, guardatevi intorno, il mondo è pieno di donne che aspettano il vostro aiuto, il sostegno che può dare un'amica.

sabato 2 agosto 2014

In dolce attesa

In questi giorni non passa ora in cui non rifletta sul fatto che il mio libro, il mio bambino come direbbe Virginia Woolf, è stato per necessità chiuso in un cassetto.
 
È una fase necessaria questa, come quella dell'editing. Non è dato sapere quanto potrà durare ma la cosa certa è che nel momento in cui ci incontreremo di nuovo, quando quel cassetto verrà riaperto e i miei occhi carezzeranno con lo sguardo fiero la copertina e tutte quelle pagine, io e il manoscritto non saremo più gli stessi e i miei occhi lo leggeranno come fosse la prima volta.
Forse la Woolf aveva ragione, tutto ciò che scriviamo e che completiamo rappresenta un parto con la sua gestazione, le sue ansie e i suoi dolori e i nostri bambini attendono soltanto di entrare a far parte del mondo. Fatto questo dobbiamo avere l'orgoglio e la forza di lasciarli andare, non ci appartengono più, noi abbiamo dato loro solo la vita.

sabato 28 giugno 2014

Quando la biblioteca adotta lo scrittore

Essendo una lettrice ingorda, oltre alla montagna di libri da me comprati in continuazione e accumulati sul mio comodino in paziente attesa di lettura, mi sono anche presa il piacevole onere di far parte di un gruppo di lettura.

Presso la Biblioteca di Villa Bandini, qui a Firenze, è stata promossa l'iniziativa "La biblioteca adotta lo scrittore", in questo caso si tratta di due scrittori toscani: Anna Maria Falchi ("L'isola delle lepri" edito da Guanda) e Emiliano Gucci (fra gli altri "Più del tuo mancarmi" e "Nel vento" editi rispettivamente da Noripios e Feltrinelli).
Gli autori suddetti, con il sostegno della biblioteca, si sono presi l'incarico di gestire il gruppo proponendo dei libri, comprese anche le loro opere, che sono a disposizione per essere letti e brevemente recensiti dai componenti del gruppo con la possibilità di discuterne insieme.

Personalmente l'ho trovata una iniziativa lodevole anche se un po' impegnativa. In totale i libri da leggere sono nove e anche se non è obbligatorio leggerli tutti è difficile non accettare la sfida per una lettrice vorace come me.
Nonostante l'impegno trovo però che, far parte di un gruppo di lettura, dia il modo di approfondire un testo, di sentire altre opinioni oltre la propria, e di parlarne. Consideriamo anche che oggi come oggi è sempre più difficile condividere opinioni a voce, scambiare idee e gusti con persone che, almeno all'inizio, sono solo sconosciuti dando a questa iniziativa anche il pregio di far conoscere nuove persone e umanizzare un po' un mondo fin troppo virtuale.

Ogni biblioteca propone iniziative simili e il mio umile consiglio è quello di parteciparvi o, se non altro, provarci almeno, per voi e per amore della lettura, per condividere realmente ciò che il progresso ci aiuta a fare solo con un clic.

Piccole librerie per grandi lettori

Invasi ormai da megastore, assuefatti e convinti della loro necessità, accecati come siamo dall'apparenza, entrare in una piccola libreria ci sembra sia come usare il telefono a gettoni, inutile e demodé.
Potrà mai una così piccola cosa, un fondo mai abbastanza grande per contenere tutte le opere preferite, soddisfare le nostre immense richieste da ingordi consumisti del tutto e subito?
È vero il magazzino può scarseggiare, per motivi di spazio e soprattutto economici ma tempo una settimana il nostro libro sarà nelle nostre mani.
Perché mai allora darsi tanta pena ad uscire di casa,  con un clic l'ordine ognuno può farlo da se, in mutande davanti al proprio pc.
Tutto vero se non fosse per un particolare, piccolo, insignificante per quelli che sono nati saputi ma essenziale per un vero lettore:
il libraio, quello che sta alla cassa, sistema i libri, si occupa degli ordini, si pulisce il negozio da solo e  magari ci fa anche un pisolino nella pausa pranzo,  il libraio dicevo non è lì per caso.

Lui ne ha fatto una professione, scegliendo tra reddito e passione. 
Lui legge, consiglia e con lui si possono condividere non solo gusti e opinioni ma anche le conversazioni più interessanti e produttive che si possano affrontare perché, diciamoci la verità, non è facile trovare degli ottimi interlocutori che nutrano il nostro stesso amore per i libri.
Certo tutto questo si può fare anche con gli addetti alla vendita delle grandi librerie, potrebbe obiettare qualcuno. Sicuri? Forse, magari se non c'è troppa gente, se si sono scelti quel lavoro per assecondare una passione, se capita loro di leggere...
C'è anche un altro aspetto da valutare nella scelta della piccola libreria, non meno importante, la tranquillità.
La tranquillità di un luogo a misura d'uomo, il silenzio che ci accompagna nella scelta,  la luce naturale che accarezza la nostra vista, magari nella penombra.
Non c'è confronto che regga per un lettore che si reputa tale, che sceglie con cura e metodo le proprie letture e, soprattutto, non c'è niente che il vostro piccolo libraio di fiducia non possa ordinare e farvi avere con cura e attenzione particolare poiché, per lui, voi siete una cosa rara e preziosa, un lettore.  Fidatevi, lui è il guardiano di un mondo fantastico.

domenica 9 marzo 2014

Conto alla rovescia

Alla fine prima o poi ci si arriva al debutto ed eccoci qua, finalmente è arrivato il momento.
Domani ci sarà la prova generale e poi martedì 11 e mercoledì 12 la mia quarta commedia "La casa delle divine sorelle" andrà in scena.

Difficile da descrivere l'emozione che si prova in questi momenti.
Giornate intense di prove, impegno, costanza nell'andare avanti anche quando mille difficoltà si presentano alla porta. Ore di sonno perse, stanchezza, desiderio di staccare la spina.
Tutto inesorabilmente ripagato dal buio in sala che da il via all'apertura del sipario mostrando, come un destino ineluttabile, il proprio lavoro ad una platea fatta di persone, singoli individui che vedranno per la prima volta la nostra creatura.

Adesso mille dubbi si affacciano nei miei pensieri.
Piacerà? Non piacerà? Coglieranno l'ironia? Capiranno il mio intento?
In quell'ora e mezzo riusciranno ad apprezzare e comprendere tutto il lavoro che si nasconde dietro le quinte?

C'è la regista che come un direttore d'orchestra accorda i suoni di strumenti diversi per creare una sinfonia e tutto ciò che incornicia un lavoro teatrale, con collaboratori senza i quali uno spettacolo non si può dire veramente concluso.

E poi ci sono gli attori, i miei attori, persone in carne e ossa che nonostante lo scorrere delle loro vite hanno accettato di essere qualcun altro per un istante lungo mesi, i mesi in cui sono stati quel personaggio che grazie a loro muove i suoi passi sul palcoscenico per aprirsi al pubblico e dire finalmente:
"Eccomi, sono qua. Sono frutto della fantasia eppure esisto, sono una sfaccettatura delle vostre mille personalità".

Signore e signori, si va in scena






giovedì 6 marzo 2014

Lezioni fondamentali

Arriva un momento nella vita di un lettore in cui appare chiaro e tangibile che tutto quel che ha letto e leggerà disegna la sua mente oltre che la sua anima.
Accade quando per elaborare una idea, per rispondere a qualcuno o per chiarire un concetto usa cio' che ha letto con la naturalezza di un pensiero acquisito e che ormai gli appartiene come la sua lingua madre e l'uso dei numeri.
Non come un secchione che impara la lezione a memoria ma come chi ha aperto la propria mente alle parole scritte nei libri, facendole sue come fossero maestre di vita.
E' un istante che attraversa in un lampo la coscienza del lettore che subito ne riconosce l'origine e con orgoglio lo tiene per sè, consapevole di avere davvero acquisito un'altra importante lezione:
tutto quel che leggi diventa parte del tuo essere, ti plasma, ti trasforma e ti rende l'individuo che sei.

sabato 25 gennaio 2014

Tanti auguri Virginia Woolf


"Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?" (Una stanza tutta per sé, 1929)





Il 25 gennaio 1882, nasce a Londra Adeline Virginia Woolf, scrittrice, saggista e attivista, considerata come una delle principali figure della letteratura del XX secolo.
Attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi fu, nel periodo fra le due guerre, figura di rilievo nell'ambiente letterario londinese.
Le sue più famose opere comprendono i romanzi La signora Dalloway (1925), Gita al faro (1927) e Orlando (1928). Tra le opere di saggistica emergono Il lettore comune (1925) e Una stanza tutta per sé (1929).
"Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi"
I suoi lavori sono stati tradotti in oltre cinquanta lingue, da scrittori del calibro di Jorge Luis Borges e Marguerite Yourcenar.

A parte le notizie biografiche, rintracciabili liberamente su internet, è l'impronta che questa donna straordinaria ha lasciato e continua a lasciare la cosa più importante.
Sia come lettrice, sia come "scrittrice" (ed è con grande umiltà che mi definisco tale) ma soprattutto come donna, riconosco la grande immagine che Virginia Woolf  rappresenta nel mondo della letteratura.
Leggendo le sue opere Diario di una scrittrice e Una stanza tutta per sé, ho trovato non solo una grande insegnante ma anche grande affinità e amicizia. Una donna che precorreva i tempi, avanti nelle scelte e nello stile di vita. Nemmeno nel momento della morte ha rinunciato ad avere l'ultima parola e al suo diritto di scelta.
Oggi è l'anniversario della sua nascita e mi è sembrato giusto farle gli auguri a modo mio, un umile pensiero, da donna a donna, da scribacchina a scrittrice.
Augurandomi che ogni donna possa prendere esempio da lei, vi lascio con una sua celebre frase tratta ancora da Una stanza tutta per sé:
"Per tutti questi secoli le donne hanno svolto la funzione di specchi, dotati della magica e deliziosa proprietà di riflettere la figura dell'uomo a grandezza doppia del naturale"
Auguri Virginia


venerdì 24 gennaio 2014

Il gioco erotico della propria storia


Quando si scrive si seguono diverse regole. Ognuno ha le proprie, le personalizza e le adatta alla propria natura di scrittore.
In genere si parte da una idea, data da qualsiasi cosa: una parola, un pensiero, un emozione, un odore. Si continua a creare utilizzando tutte le varie tecniche esistenti, dallo sviluppo della trama, alla scaletta, alle schede dei personaggi. Si decide il punto di vista con cui raccontare la storia e lo stile da usare. Tecnica, insomma, tanta, tantissima tecnica data dall'esercizio continuo e che aiuta, inutile negarlo, lo scrittore a tessere la sua tela.
 
Non va assolutamente sottovalutata l'importanza dell'esercizio quotidiano, prolisso in alcuni casi ma necessario perché si riesca a padroneggiare proprio nella tecnica.

"Bene o male, devo sempre scrivere. Se scrivi, ti abitui al lavoro e formi lo stile, sia pure senza vantaggio immediato. Se non scrivi sei attratto a fare e fai sciocchezze." L. Tolstoj 

 
 
 
 
 
 
L'importante però, è viverla quella storia, amarla. Conoscerne i minimi particolari, frequentare i suoi personaggi, imparare a condividere con loro il proprio tempo. Viverci dentro, immergersi nei suoi bassifondi, camminare attraverso i suoi vicoli, quelli bui, dove ci sono i segreti, i colpi di scena e dove le ombre rivelano la vera natura delle anime dei protagonisti.
 
 
 
Tutto questo la tecnica non lo può dare, è un gioco erotico tra lo scrittore e la storia e l'unico autorizzato ad assistere, come un voyeur, è il lettore, testimone e giudice assoluto.
 
 
Molti scrivono, pochi leggono, ancora meno sono quelli che scrivono amando la propria storia. Ecco, questi ultimi ritengo che siano i migliori. A loro non importa essere letti, a loro importa far si che, in quell'universo parallelo, la storia abbia luogo.

martedì 21 gennaio 2014

Se telefonando...


Non esiste posto dove le persone non pensino di avere il diritto di parlare al cellulare. Diventato ormai un fido compagno di conversazioni, per lo più' inutili, lo ritroviamo ovunque. In ospedale, al cimitero, sui mezzi pubblici, in biblioteca, in palestra, in chiesa, al cesso.
La mia domanda è: ma queste persone soffrono di morbosa solitudine o amano solo rendere morbosa la nostra insofferenza? Certo è che a molti di loro piace essere al centro dell'attenzione. Adorano quel momento in cui la loro voce sovrasta il silenzio che li circonda.
Altra domanda: queste persone davvero non si accorgono che gli altri, quelli costretti ad ascoltare, sbuffano alzando gli occhi al cielo, pensando le peggiori offese, per una maleducazione così palese?
Davvero non immaginano che quelli seduti accanto a loro, e che magari stanno cercando di leggersi un libro in santa pace, stanno sperando che gli si brucino all'istante le batterie di quel maledetto telefono?
Sul serio non si rendono conto di quanta noia possa dare la loro voce nel silenzioso vagare all'interno di un museo, nella corsia di un ospedale o, nel peggiore dei casi, alla veglia funebre di un conoscente qualsiasi?
Sono letteralmente persi senza il telefono. Non ne possono fare a meno neanche durante quei sani momenti che dovrebbero dedicare a se stessi. Non ce la fanno a correre sul tapis roulant, occupandosi solo di scegliere la musica più adatta da infilare in cuffia. No, è fuori discussione rinunciare a chiamare chiunque per una comunicazione così urgente che non può aspettare il tempo di una ceretta. Per loro non è concepibile avere dei momenti così vuoti da riscoprire la bellezza del pensiero riflessivo.
 
La verità è che questi soggetti sanno e immaginano benissimo il fastidio che creano le loro conversazioni rumorose, le risate ridondanti, i fatti altrui raccontati in diretta come fossero in un salotto televisivo, ma non rinuncerebbero mai ai quei maledettissimi cinque minuti di riflettori puntati su di loro. Perché se telefoni vuol dire che conosci gente, se ti telefonano vuol dire che la gente ti cerca e nel mondo di oggi niente è più importante dell'essere cercati.
E' come se dicessero:
<<Lo so che infastidisco, anche a me da tanta noia quando lo fanno gli altri, ma starò comunque qui a far bella mostra della mia presenza, della mia simpatia, della mia gaiezza perché altrimenti, a telefono spento, nessuno si accorgerebbe di quello che sono>>.
<< Cioè, un cretino?>> Aggiungo io.





lunedì 20 gennaio 2014

Decollo


Sono le 21.20 del 20 giugno 2013 e mi trovo seduta sull'aereo in attesa di decollare, in compagnia della voce del capitano che pronuncia frasi incomprensibili come sempre. Rifletto sul fatto che molti di quelli che temono di volare forse non hanno mai avuto la sfortuna di trovarsi sul pullman Firenze S. Maria Novella/Pisa Aeroporto con l'autista che è capitato a me questa volta.
 
Un'ora e dieci minuti di slalom convulso sulla fi-pi-li, appiccicati come un chewingum alle auto che per loro sfortuna avevano l'ardire di trovarsi lì anche loro, poverine. Sottofondo abbastanza alto di musica alla radio, solo in parte accettabile, accompagnata dal fischio swing dell'autista che oltretutto faceva un uso abbastanza sportivo, oltre che dei freni, del cellulare senza però l'ausilio dell'auricolare. Sono sicura che, se quei poco temerari viaggiatori avessero vissuto la mia stessa esperienza, volare non sarebbe più un problema per loro e sarebbero anzi lieti di riappacificarsi con il viaggiare nei cieli, liberi dal traffico.
Adesso che i passeggeri sembra abbiano trovato tutti il loro posto e la giusta posizione sui loro sedili, non mi resta che osservare distrattamente, per l'ennesima volta, gli stuart e le hostess mimare le manovre di emergenza e stavolta mi viene da sorridere più del solito, ricordando con piacere alcune scene del film di Almodovar "Amanti passeggeri".
Quando finalmente l'aereo comincia a rullare sulla pista per il decollo, con ben trenta minuti di ritardo, il mio pensiero va a una bellissima frase di Italo Calvino:
"viaggiare in aereo è assenza tua dal mondo e del mondo da te”.
Con queste parole nella mente, osservo dal finestrino il tramonto dipinto da una mano unica e irripetibile lasciare il posto al buio per poi riprendere immediatamente possesso della scena, grazie al fuso orario, mentre con pazienza attendo di scorgere le luci di Edimburgo.

 

 

Teatro è

Il teatro è un mondo a parte, vive di vita propria e si nutre di emozioni. C'è il teatro vuoto, durante le prove, durante l'allestimento della scena, prima che il pubblico entri in sala e poi c'è il teatro che tutti conoscono e almeno una volta nella vita hanno vissuto da spettatori.
Prima che il pubblico entri in sala e che si apra il sipario sono passati mesi, fatti di ore di prove, in cui i personaggi e gli attori che li rappresentano si sono fusi tra loro, dando l'uno all'altro qualcosa di indefinibile. E' come trovarsi difronte ad uno specchio, da un lato l'attore, con tutta la sua personalità, il suo vissuto, i suoi limiti, dall'altra il personaggio che pretende con forza che gli sia data vita.
C'è l'opera messa in scena, commedia, monologo o musical, scritta da un autore, diretta da un regista, interpretata da attori, allestita da scenografi, e attorno alla quale ruotano tantissimi personaggi quali: truccatori, parrucchieri, assistenti alla regia, tecnici, ma anche addetti alla cassa del teatro, maschere per guidare il pubblico in sala e così via. Tanta gente dà il suo contributo alla messa in scena di un lavoro teatrale.
Esiste il teatro professionale, dove tutte le figure descritte sopra vengono regolarmente pagate e poi esiste il teatro amatoriale, fatto di persone che dopo una giornata di lavoro "comune" si dedicano ad una passione, sacrificando il loro tempo libero alla realizzazione di qualcosa da regalare al pubblico che con i suoi applausi li ripagherà di tutto il tempo e le energie spese a costruire qualcosa.
Il teatro amatoriale è fatto da non professionisti che con umiltà cercano di portare il loro contributo ad un arte vecchia quanto il mondo e dalla quale l'essere umano sarà sempre affascinato, poichè non esiste cosa più bella, sia che si tratti di un dramma che di una commedia brillante, che assistere al racconto di una fiaba che prende vita e trascina via con lei. Così, come da bambini ascoltavamo l'adulto che ci leggeva un racconto, ci rechiamo a teatro perchè ci raccontino una storia.