Sono le 21.20 del 20 giugno 2013 e mi trovo seduta sull'aereo in attesa di decollare, in compagnia
della voce del capitano che pronuncia frasi incomprensibili come sempre. Rifletto sul fatto che molti di quelli che temono di volare forse non hanno mai
avuto la sfortuna di trovarsi sul pullman Firenze S. Maria Novella/Pisa Aeroporto
con l'autista che è capitato a me questa volta.
Un'ora e dieci minuti di slalom convulso sulla
fi-pi-li, appiccicati come un chewingum alle auto che per loro sfortuna avevano
l'ardire di trovarsi lì anche loro, poverine. Sottofondo abbastanza alto di
musica alla radio, solo in parte accettabile, accompagnata dal fischio
swing dell'autista che oltretutto faceva un uso abbastanza sportivo, oltre che
dei freni, del cellulare senza però l'ausilio dell'auricolare. Sono sicura
che, se quei poco temerari viaggiatori avessero vissuto la mia stessa
esperienza, volare non sarebbe più un problema per loro e sarebbero anzi lieti
di riappacificarsi con il viaggiare nei cieli, liberi dal traffico.
Adesso che i passeggeri sembra abbiano trovato
tutti il loro posto e la giusta posizione sui loro sedili, non mi resta
che osservare distrattamente, per l'ennesima volta, gli stuart e
le hostess mimare le manovre di emergenza e stavolta mi viene da sorridere più
del solito, ricordando con piacere alcune scene del film di Almodovar
"Amanti passeggeri".
Quando finalmente l'aereo comincia a rullare sulla
pista per il decollo, con ben trenta minuti di ritardo, il mio pensiero va a
una bellissima frase di Italo Calvino:
"viaggiare in aereo è assenza tua dal mondo e del
mondo da te”.
Con queste parole nella mente, osservo dal finestrino
il tramonto dipinto da una mano unica e irripetibile lasciare il posto al buio
per poi riprendere immediatamente possesso della scena, grazie al fuso
orario, mentre con pazienza attendo di scorgere le luci di Edimburgo.
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