sabato 25 gennaio 2014

Tanti auguri Virginia Woolf


"Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?" (Una stanza tutta per sé, 1929)





Il 25 gennaio 1882, nasce a Londra Adeline Virginia Woolf, scrittrice, saggista e attivista, considerata come una delle principali figure della letteratura del XX secolo.
Attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi fu, nel periodo fra le due guerre, figura di rilievo nell'ambiente letterario londinese.
Le sue più famose opere comprendono i romanzi La signora Dalloway (1925), Gita al faro (1927) e Orlando (1928). Tra le opere di saggistica emergono Il lettore comune (1925) e Una stanza tutta per sé (1929).
"Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi"
I suoi lavori sono stati tradotti in oltre cinquanta lingue, da scrittori del calibro di Jorge Luis Borges e Marguerite Yourcenar.

A parte le notizie biografiche, rintracciabili liberamente su internet, è l'impronta che questa donna straordinaria ha lasciato e continua a lasciare la cosa più importante.
Sia come lettrice, sia come "scrittrice" (ed è con grande umiltà che mi definisco tale) ma soprattutto come donna, riconosco la grande immagine che Virginia Woolf  rappresenta nel mondo della letteratura.
Leggendo le sue opere Diario di una scrittrice e Una stanza tutta per sé, ho trovato non solo una grande insegnante ma anche grande affinità e amicizia. Una donna che precorreva i tempi, avanti nelle scelte e nello stile di vita. Nemmeno nel momento della morte ha rinunciato ad avere l'ultima parola e al suo diritto di scelta.
Oggi è l'anniversario della sua nascita e mi è sembrato giusto farle gli auguri a modo mio, un umile pensiero, da donna a donna, da scribacchina a scrittrice.
Augurandomi che ogni donna possa prendere esempio da lei, vi lascio con una sua celebre frase tratta ancora da Una stanza tutta per sé:
"Per tutti questi secoli le donne hanno svolto la funzione di specchi, dotati della magica e deliziosa proprietà di riflettere la figura dell'uomo a grandezza doppia del naturale"
Auguri Virginia


venerdì 24 gennaio 2014

Il gioco erotico della propria storia


Quando si scrive si seguono diverse regole. Ognuno ha le proprie, le personalizza e le adatta alla propria natura di scrittore.
In genere si parte da una idea, data da qualsiasi cosa: una parola, un pensiero, un emozione, un odore. Si continua a creare utilizzando tutte le varie tecniche esistenti, dallo sviluppo della trama, alla scaletta, alle schede dei personaggi. Si decide il punto di vista con cui raccontare la storia e lo stile da usare. Tecnica, insomma, tanta, tantissima tecnica data dall'esercizio continuo e che aiuta, inutile negarlo, lo scrittore a tessere la sua tela.
 
Non va assolutamente sottovalutata l'importanza dell'esercizio quotidiano, prolisso in alcuni casi ma necessario perché si riesca a padroneggiare proprio nella tecnica.

"Bene o male, devo sempre scrivere. Se scrivi, ti abitui al lavoro e formi lo stile, sia pure senza vantaggio immediato. Se non scrivi sei attratto a fare e fai sciocchezze." L. Tolstoj 

 
 
 
 
 
 
L'importante però, è viverla quella storia, amarla. Conoscerne i minimi particolari, frequentare i suoi personaggi, imparare a condividere con loro il proprio tempo. Viverci dentro, immergersi nei suoi bassifondi, camminare attraverso i suoi vicoli, quelli bui, dove ci sono i segreti, i colpi di scena e dove le ombre rivelano la vera natura delle anime dei protagonisti.
 
 
 
Tutto questo la tecnica non lo può dare, è un gioco erotico tra lo scrittore e la storia e l'unico autorizzato ad assistere, come un voyeur, è il lettore, testimone e giudice assoluto.
 
 
Molti scrivono, pochi leggono, ancora meno sono quelli che scrivono amando la propria storia. Ecco, questi ultimi ritengo che siano i migliori. A loro non importa essere letti, a loro importa far si che, in quell'universo parallelo, la storia abbia luogo.

martedì 21 gennaio 2014

Se telefonando...


Non esiste posto dove le persone non pensino di avere il diritto di parlare al cellulare. Diventato ormai un fido compagno di conversazioni, per lo più' inutili, lo ritroviamo ovunque. In ospedale, al cimitero, sui mezzi pubblici, in biblioteca, in palestra, in chiesa, al cesso.
La mia domanda è: ma queste persone soffrono di morbosa solitudine o amano solo rendere morbosa la nostra insofferenza? Certo è che a molti di loro piace essere al centro dell'attenzione. Adorano quel momento in cui la loro voce sovrasta il silenzio che li circonda.
Altra domanda: queste persone davvero non si accorgono che gli altri, quelli costretti ad ascoltare, sbuffano alzando gli occhi al cielo, pensando le peggiori offese, per una maleducazione così palese?
Davvero non immaginano che quelli seduti accanto a loro, e che magari stanno cercando di leggersi un libro in santa pace, stanno sperando che gli si brucino all'istante le batterie di quel maledetto telefono?
Sul serio non si rendono conto di quanta noia possa dare la loro voce nel silenzioso vagare all'interno di un museo, nella corsia di un ospedale o, nel peggiore dei casi, alla veglia funebre di un conoscente qualsiasi?
Sono letteralmente persi senza il telefono. Non ne possono fare a meno neanche durante quei sani momenti che dovrebbero dedicare a se stessi. Non ce la fanno a correre sul tapis roulant, occupandosi solo di scegliere la musica più adatta da infilare in cuffia. No, è fuori discussione rinunciare a chiamare chiunque per una comunicazione così urgente che non può aspettare il tempo di una ceretta. Per loro non è concepibile avere dei momenti così vuoti da riscoprire la bellezza del pensiero riflessivo.
 
La verità è che questi soggetti sanno e immaginano benissimo il fastidio che creano le loro conversazioni rumorose, le risate ridondanti, i fatti altrui raccontati in diretta come fossero in un salotto televisivo, ma non rinuncerebbero mai ai quei maledettissimi cinque minuti di riflettori puntati su di loro. Perché se telefoni vuol dire che conosci gente, se ti telefonano vuol dire che la gente ti cerca e nel mondo di oggi niente è più importante dell'essere cercati.
E' come se dicessero:
<<Lo so che infastidisco, anche a me da tanta noia quando lo fanno gli altri, ma starò comunque qui a far bella mostra della mia presenza, della mia simpatia, della mia gaiezza perché altrimenti, a telefono spento, nessuno si accorgerebbe di quello che sono>>.
<< Cioè, un cretino?>> Aggiungo io.





lunedì 20 gennaio 2014

Decollo


Sono le 21.20 del 20 giugno 2013 e mi trovo seduta sull'aereo in attesa di decollare, in compagnia della voce del capitano che pronuncia frasi incomprensibili come sempre. Rifletto sul fatto che molti di quelli che temono di volare forse non hanno mai avuto la sfortuna di trovarsi sul pullman Firenze S. Maria Novella/Pisa Aeroporto con l'autista che è capitato a me questa volta.
 
Un'ora e dieci minuti di slalom convulso sulla fi-pi-li, appiccicati come un chewingum alle auto che per loro sfortuna avevano l'ardire di trovarsi lì anche loro, poverine. Sottofondo abbastanza alto di musica alla radio, solo in parte accettabile, accompagnata dal fischio swing dell'autista che oltretutto faceva un uso abbastanza sportivo, oltre che dei freni, del cellulare senza però l'ausilio dell'auricolare. Sono sicura che, se quei poco temerari viaggiatori avessero vissuto la mia stessa esperienza, volare non sarebbe più un problema per loro e sarebbero anzi lieti di riappacificarsi con il viaggiare nei cieli, liberi dal traffico.
Adesso che i passeggeri sembra abbiano trovato tutti il loro posto e la giusta posizione sui loro sedili, non mi resta che osservare distrattamente, per l'ennesima volta, gli stuart e le hostess mimare le manovre di emergenza e stavolta mi viene da sorridere più del solito, ricordando con piacere alcune scene del film di Almodovar "Amanti passeggeri".
Quando finalmente l'aereo comincia a rullare sulla pista per il decollo, con ben trenta minuti di ritardo, il mio pensiero va a una bellissima frase di Italo Calvino:
"viaggiare in aereo è assenza tua dal mondo e del mondo da te”.
Con queste parole nella mente, osservo dal finestrino il tramonto dipinto da una mano unica e irripetibile lasciare il posto al buio per poi riprendere immediatamente possesso della scena, grazie al fuso orario, mentre con pazienza attendo di scorgere le luci di Edimburgo.

 

 

Teatro è

Il teatro è un mondo a parte, vive di vita propria e si nutre di emozioni. C'è il teatro vuoto, durante le prove, durante l'allestimento della scena, prima che il pubblico entri in sala e poi c'è il teatro che tutti conoscono e almeno una volta nella vita hanno vissuto da spettatori.
Prima che il pubblico entri in sala e che si apra il sipario sono passati mesi, fatti di ore di prove, in cui i personaggi e gli attori che li rappresentano si sono fusi tra loro, dando l'uno all'altro qualcosa di indefinibile. E' come trovarsi difronte ad uno specchio, da un lato l'attore, con tutta la sua personalità, il suo vissuto, i suoi limiti, dall'altra il personaggio che pretende con forza che gli sia data vita.
C'è l'opera messa in scena, commedia, monologo o musical, scritta da un autore, diretta da un regista, interpretata da attori, allestita da scenografi, e attorno alla quale ruotano tantissimi personaggi quali: truccatori, parrucchieri, assistenti alla regia, tecnici, ma anche addetti alla cassa del teatro, maschere per guidare il pubblico in sala e così via. Tanta gente dà il suo contributo alla messa in scena di un lavoro teatrale.
Esiste il teatro professionale, dove tutte le figure descritte sopra vengono regolarmente pagate e poi esiste il teatro amatoriale, fatto di persone che dopo una giornata di lavoro "comune" si dedicano ad una passione, sacrificando il loro tempo libero alla realizzazione di qualcosa da regalare al pubblico che con i suoi applausi li ripagherà di tutto il tempo e le energie spese a costruire qualcosa.
Il teatro amatoriale è fatto da non professionisti che con umiltà cercano di portare il loro contributo ad un arte vecchia quanto il mondo e dalla quale l'essere umano sarà sempre affascinato, poichè non esiste cosa più bella, sia che si tratti di un dramma che di una commedia brillante, che assistere al racconto di una fiaba che prende vita e trascina via con lei. Così, come da bambini ascoltavamo l'adulto che ci leggeva un racconto, ci rechiamo a teatro perchè ci raccontino una storia.